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La
storia del vetro
Miscela
iniziale
Vetro
piano
Fabbricazione
Finitura
Tempra
I
forni
Proprietà
del vetro
Vetri
per l'edilizia
Difetti
del vetro
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Storia del
Vetro
Cenni
storici
Secondo la leggenda, riportata da Plinio il Vecchio (I secolo
d.C.), dei mercanti fenici, arenatisi in una spiaggia del
Mediterraneo, accesero dei fuochi utilizzando dei blocchi di
Narton (soda) che facevano parte del carico sulle loro navi: il
fuoco fuse insieme la soda e la sabbia silicea della spiaggia,
formando dei granuli di materiale duro e quasi trasparente.
In realtà le origini dell’impiego del vetro nelle costruzioni
riguardano le paste vetrose di rivestimento utilizzate già nel
III millennio a.C. sotto forma di “perline irregolari”. I
primi reperti di frammenti di vetro opaco azzurro ritrovati
risalgono al 2700 a.C. (Mesopotamia).
Successivamente si iniziò la manifattura di impasti di silice,
carbonato di sodio (oppure potassa o salnitro) e gesso, materie
che venivano macinate, fuse una prima volta e poi rifuse fino ad
ottenere una polvere molto sottile; questa, impastata con acqua,
veniva applicata sugli elementi di argilla successivamente ricotti
in fornace.
Assiri e babilonesi fecero impiego di rivestimenti vetrosi a
partire dal XVIII secolo a.C., periodo a cui risale
un’iscrizione in cui era descritta la pasta vetrosa composta di
potassa, rame e piombo.
Da queste esperienze di rivestimento delle argille con pasta
vetrosa si passò alla modellazione di oggetti in polvere di
quarzo e carbonato di sodio, rivestiti di pasta vetrosa (maiolica
egiziana).
La descrizione della produzione del vetro con antimonio e
arsenico, è presente in una tavoletta assira conservata nella
Biblioteca di Ninive (Assurbanipal, VII secolo a.C.).
A partire dal XV secolo a.C. la produzione del vetro è
consolidata in Egitto, in particolare ad Alessandria. Durante il
periodo tolemaico (332-30 a.C.) la tecnica della produzione inizia
a diffondersi nel Medio Oriente e quindi in Italia.
Solo durante l’Impero romano inizia, però, la produzione di
pannelli in vetro per finestre: si trattava di piccole lastre di
vetro soffiato secondo un processo di produzione di origine
siriana introdotto nel I sec. a.C.
Fra le rovine di Pompei (79 d.C.) sono stati ritrovati frammenti
di serramenti in bronzo destinati a sostenere lastre di vetro di
dimensione 50 x 70 cm circa e con spessore di circa 1,5 cm.
Inoltre, nelle terme di Pompei è stato trovata traccia di lastre
di dimensione maggiore, 70 x 100 cm, prodotta per fusione su
stampi.
Il poeta latino Marziale (I secolo d.C.) così magnificava le
potenzialità del vetro:“I vostri vigneti finiscono chiusi in
vetro trasparente, ed i fortunati acini sono protetti e tuttavia
non celati… Affinché i vostri alberi da frutto di Cilicia non
crescano deboli e non temano l’inverno, e l’aria troppo
pungente non distrugga i rami, avete realizzato telai ricoperti di
vetro, che li proteggono dai freddi venti del sud, lasciando
filtrare i chiari raggi del sole e la pura luce del giorno. Io,
invece, sono confinato in una soffitta chiusa da una finestra
malsicura dove Boreas stesso si rifiuterebbe di abitare. In una
tal dimora costringete il vostro vecchio amico ad abitare? Allora,
come ospite di uno dei vostri alberi avrei migliore protezione”.
La manifattura del vetro soffiato e fuso in stampi, diffusa in
tutto l’Impero, è poi ripresa dagli artigiani bizantini che
specializzano la produzione realizzando vetri colorati destinati
ai mosaici.
Questo vetro era composto da sabbia silicea o quarzifera,
carbonato di sodio o potassa con l’aggiunta di gesso; queste
sostanze venivano fuse insieme in fornaci con temperature attorno
ai 1.000 gradi centigradi; per controllare colore e trasparenza
del vetro si aggiungevano ossidi metallici come l’ossido di
piombo che conferiva grande lucentezza.
Verso la fine del VI secolo le conoscenze sulla produzione del
vetro colorato cominciano a diffondersi in Europa. I benedettini
iniziarono ad occuparsene a partire dall’VIII-IX secolo. In
Inghilterra l’uso del vetro colorato risulta diffuso e
conosciuto già alla fine del XII secolo.
Con la conquista della Siria da parte di Tamerlano (1400) la
scuola vetraria orientale perde la supremazia a favore
dell’Occidente, Venezia in particolare, dove dall’XI secolo si
era dato inizio ad una fiorente attività di produzione vetraria
(vetri soffiati trasparenti e colorati). Nel 1291 le fabbriche di
vetro erano state trasferite nell’isola di Murano.
Punto di forza della produzione veneziana, oltre ai vetri
colorati, furono i “vetri cristallini”, lastre di vetro ad
alta concentrazione di soda, realizzato nei laboratori del maestro
vetrario Barovier.
Due erano i principali sistemi di produzione delle lastre di vetro
per finestre: soffiatura (suddiviso in sottosistemi a corona, a
cilindro, a bulbo) e colatura su stampi.
Nel primo caso si immergeva il tubo metallico da soffio nella
pasta vetrosa e si soffiava nella forma voluta (piatta o a
cilindro); nel caso della soffiatura a cilindro, o simile, il
vetro veniva poi nuovamente riscaldato, tagliato e reso piano.
Il procedimento di realizzazione delle vetrate policrome era noto
da tempo, rispetto a quando il Vasari scriveva, e già nel XII
secolo l’abate Theophilus ne aveva codificato il metodo e
descritto, nei dettagli, anche le generali modalità di produzione
del vetro.
Vediamo però, ancora, cosa scrive il Vasari in merito:”A
condurre questa opera, bisogna avere un cartone disegnato con
profili, dove siano i contorni delle pieghe dei panni dove si ha a
connettere i vetri. Di poi si grigliano i pezzi de vetri rossi,
gialli, azzurri e bianchi e si compartiscono secondo il disegno
per panni o carnagione, come ricerca il bisogno. Per ridurre
ciascuna piastra di essi vetri alle misure disegnate sopra il
cartone, segnano detti pezzi in dette piastre posate sopra il
detto cartone con un pennello di biacca. E da ciascuno pezzo si
assegna il suo numero, per ritrovarli più facilmente nel
connetterli […]
Fatto questo, per tagliarli a misura, si piglia il ferro appuntito
affocato, con la punta del quale, avendo prima con una punta di
smeriglio intaccato alquanto la superficie dove si vuole
cominciare, e con un poco di sputo bagnatovi, si va con esso ferro
lungo quei contorni, ma alquanto discosti ed a poco a poco,
movendo il predetto ferro, il vetro si inclina e si spacca dalla
piastra… Dipinti che sono i vetri, voglio essere messi in una
tegghia di ferro con un suolo di cenere stacciata e calcina cotta
mescolata; ed a suolo a suolo i vetri parimenti distesi e
ricoperti della cenere i stessa, poi posti nel forno, il quale a
fuoco lento poco a poco riscaldato, venga ad inforcarsi la cenere
e i vetri perché i colori che vi sono su infuocati, irruginiscono
e scorrono e fanno presa sui vetri […]
Fatto ciò si buttano i piombi in certe forme di pietra o di
ferro, i quali hanno due canali, cioè da ogni lato uno, dentro il
quale si commette e serra il vetro […]
Naturalmente le prime vetrate policrome delle chiese romaniche e
poi gotiche, rappresentavano scene bibliche. Infatti Guglielmo
Durand nel Rationale Divinorum Officium (XIII secolo) scriveva:
“Le pitture e gli ornamenti delle chiese sono letture e
scritture per i laici”. Analogamente affermava Gregorio Magno
nel De Consacratione: “Altro è adorare le pitture, altro è
apprendere attraverso la storia che la pittura rappresenta, ciò
che si deve adorare”.
Ma un fatto rendeva le pitture delle vetrate policrome
“magiche”: risplendevano per luce attraversata e non riflessa.
Nessun affresco o tela poteva competere con la suggestione di
pitture risplendenti di una apparente luce propria.
Dal Rinascimento la produzione si amplia in numerose manifatture
in diverse città europee; in Boemia viene introdotto il vetro
cristallo e la molature delle superfici.
La produzione industrializzata di lastre per finestra in vetro
colato ha inizio in Francia e in Inghilterra verso la fine del
Seicento primi del Settecento. Il procedimento consisteva nel
versare la massa vetrosa fusa su una lastra di ferro spianandolo
con un rullo metallico che scorreva su rotaie in modo da dare alla
lastra lo spessore voluto.
Nel 1665 viene fondata l’industria francese Saint-Gobain, a cui
si deve l’effettiva industrializzazione del vetro colato per le
finestre e il relativo abbattimento dei costi di produzione.
La ghisa, l’acciaio e il vetro sono i materiali che hanno
caratterizzato le grandi architetture espositive, le gallerie
coperte, le stazioni ferroviarie, ecc, dell’Ottocento. Il primo
impiego risale al 1831 quando l’architetto Fontaine, utilizzò
il ferro dolce e il vetro per realizzare la Galerie d’Orléans,
parte del Palazzo Reale di Parigi.
In precedenza, nel 1790, a Londra fu realizzata la Royal Opera
Arcade, con aperture circolari nelle volte che illuminavano gli
ambienti; sopra le volte una copertura con lastre in vetro
permetteva il passaggio della luce.
Una grande serra in vetro venne realizzata in Francia nel 1833
(serra dell’orto botanico di Parigi) una struttura in metallo e
grandi lastre di vetro.
Nel Crystal Palace (1851), furono impiegate circa 30.000 lastre di
vetro per una superficie vetrata complessiva di circa 8.300 m2. Il
ritmo delle strutture secondarie delle pareti del Crystal Palace
fu scandito dalle possibilità dimensionali di produzione delle
lastre di vetro.
Il passaggio dell’impiego del vetro dalle serre, alle grandi
esposizioni coperte all’edilizia residenziale è mediato anche
dalla realizzazione delle vetrine nei negozi. L’aumento della
produzione industriale di oggetti di consumo richiese, infatti,
anche la catena commerciale dei luoghi di vendita con zone
espositive, le vetrine appunto, che richiedevano la produzione di
grandi lastre e strutture portanti in grado di permettere grandi
aperture (generalmente in acciaio e ghisa). Secondo Giedion fu
proprio dalle grandi vetrate dei negozi che si generò l’idea
delle ampie vetrate per gli edifici residenziali.
Negli Stati Uniti, James Bogardus utilizza nell’Harper and
Brothers Building (New York, 1854), forse per la prima volta, le
pareti esterne vetrate incorniciate fra archi e colonne in ghisa
di stile rinascimentale italiano.
Il più grande magazzino in vetro e ferro fu il Magasin au Bon
Marché (Parigi, 1876) realizzato su progetto di L. A. Boileau e
con la collaborazione strutturale dell’atelier di G. Eiffel.
Boileau dovendo realizzare un grande complesso commerciale, si
rivolge soprattutto al vetro utilizzando il metallo quasi come
sostegno per le superfici vetrate.
Altre celebri architetture fondate sull’impiego del vetro sono
le Halles di Parigi, progettate da V. Baltard (1859), le stazioni
ferroviarie di Parigi (Gare de l’Est, 1852) e di Londra (Paddington,
1854), la Galleria Vittorio Emanuele di L. Mengoni (Milano, 1878),
e la doppia copertura del salone della Sparkasse di O. Wagner a
Vienna (1906).
Nel 1952 è stato introdotto il sistema di produzione
float-system, brevettato dalla società inglese Pilkington; con
questo sistema la lastra allo stato pastoso veniva fatta
galleggiare su un bagno di stagno fuso in assenza di aria in modo
da ottenere una prodotto di elevata qualità e contenuto costo di
produzione.
Nell’architettura contemporanea, a partire dalla fine della
Grande Guerra, ha sempre più utilizzato il vetro, sulle orme di
W. Gropius e del Bauhaus, di Le Corbusier, di L. Mies van der Rohe
in Europa e, successivamente, negli Stati Uniti dove si attua e
diffonde il courtain wall (parete continua) in vetro su struttura
in acciaio; a New York si evidenziano la Lever House di
Skidmore-Owings-Merril (1952), Seagram Building di Mies van der
Rohe e il noto Palazzo di Vetro, sede dell’O.N.U.
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